venerdì 14 marzo 2014

Garanzia per rovina e difetti di cosa immobile ex art. 1669 c.c.: una fattispecie dai confini ampi

Ai sensi dell’art. 1669 c.c., rispetto ad edifici o altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente se, nel corso di dieci anni dal compimento dell’opera, essa, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti.
In ordine alla procedibilità, l’azione di garanzia del committente nei confronti dell’appaltatore è sottoposta ad una duplice condizione: a) che gli eventi dannosi a carico dell’immobile (rovina, pericolo di rovina o gravi difetti) si manifestino entro dieci anni dal compimento dell’opera; b) che essi siano stati denunziati entro un anno dalla scoperta.
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.
Quanto al concetto di “scoperta” (rilevante, come detto, giacché da tale momento decorre il termine annuale ai fini della denunzia), essa, per giurisprudenza, viene fatta coincidere con la apprezzabile conoscenza in capo al committente della natura e gravità del vizio o difetto su un piano tecnico, il che molto spesso nella pratica avviene tramite indagini tecniche da parte di un esperto.
Sotto il profilo soggettivo, va subito chiarito che “l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera…” (ex multis, Cass. Civ. 2238/12). La ratio di tale estensione soggettiva è chiara e corrisponde all’opportunità di conformare l’ambito di applicazione dell’istituto a quella che è la realtà dei rapporti negoziali: infatti, nella grande maggioranza dei casi l’immobile d’abitazione viene acquistato da una impresa edile che la vende già realizzata completamente (o almeno in massima parte).
Secondo orientamento giurisprudenziale risalente ed unanime, vi è la tendenza ad ampliare notevolmente lo spettro della casistica idonea a far sorgere il diritto alle garanzie in commento, ed in particolare:
in merito ai difetti costruttivi, “il difetto di costruzione che, a norma dell’art. 1669 c.c., legittima il committente all’azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’appaltatore, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente a una insoddisfacente realizzazione dell’opera che, pur non riguardando parti essenziali della stessa, bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata, incide negativamente e in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo” (Cass. Civ. 20307/11);
quanto, invece, ai vizi del suolo, la responsabilità dell’appaltatore emerge laddove abbia omesso di eseguire le opportune indagini geologiche sulla natura e consistenza del suolo su cui vanno poste le fondazioni al fine di individuare eventuali vizi ed idoneità del suolo stesso ed adottare le relative misure e cautele necessarie ed idonee per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte (Cass. Civ. 12995/06).
A questo punto, va evidenziato un ulteriore fondamentale aspetto della fattispecie: l’appaltatore (o costruttore-venditore) è ritenuto presuntivamente responsabile dei danni da rovina o dei gravi difetti dell’immobile a condizione che tali danni siano dovuti a vizio del suolo o a difetto della costruzione. In altri termini, non ogni danno o grave difetto che si manifesti sull’immobile dà luogo ex se ad un diritto di risarcimento a favore del committente, ma solo quelli che sono legati da un nesso di causalità diretta ad un accertato vizio del suolo e/o difetto della costruzione. Il principio appare limpidamente enunciato dalla non recentissima, ma pur sempre attuale, sentenza Cassazione Civile n. 3184 del 1982, secondo cui “la responsabilità del costruttore, ai sensi dell’art. 1669 c.c., ricorre in tre distinte ipotesi: 1) avvenuta rovina totale o parziale dell’edificio; 2) attuale pericolo certo ed effettivo che, in un futuro più o meno prossimo, possa verificarsi la rovina totale o parziale; 3) esistenza di gravi difetti della costruzione, che ne pregiudichino la possibilità di lunga durata che dovrebbe caratterizzarla: ciascuna di queste tre ipotesi deve essere legata da un nesso di causalità ad un difetto di costruzione o ad un vizio del suolo preesistente alla costruzione stessa“.
Focalizzando ora l’indagine in particolare sui casi di rovina o difetti dovuti a vizi del suolo, la pronuncia da ultimo riportata evidenzia un ulteriore elemento qualificante la fattispecie: perché il vizio del suolo sia tale da determinare la responsabilità dell’appaltatore verso il committente, è necessario che esso sia preesistente alla costruzione stessa.
Tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, infatti, è salda l’opinione secondo cui la disposizione dell’art. 1669 c.c. è applicabile solo nelle ipotesi di danni dovuti a cause originarie, mentre si deve escludere l’applicazione di tale norma nella fattispecie di cause sopravvenute (ex multis, Trib. Novara n. 486 dell’11 maggio 2010, Cass. Civ. 5280/83; in dottrina, G. Musolino, “Appalto e contratto d’opera. La responsabilità”, Zanichelli, pag. 153).
Trattandosi infatti non già di una fattispecie di responsabilità oggettiva, ma di una presunzione “iuris tantum”, l’appaltatore non può essere ritenuto responsabile di vizi di cui non poteva avere conoscenza all’atto della costruzione dell’edificio in quanto non ancora sussistenti o non emersi.
Anche su questo fronte, tuttavia, la giurisprudenza in epoca recente è intervenuta al fine di meglio definire l’ambito di responsabilità dell’appaltatore con riferimento a quei vizi che, sebbene non attuali, per loro natura o in base alle regole della buona tecnica costruttiva, possono essere considerati eventi non imprevedibili secondo l’id quod plerumque accidit: in tali casi, l’appaltatore sarebbe comunque tenuto ad adottare le contromisure tecniche idonee a scongiurare un tale evento ipotetico. Invero “la responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti dell’opera, ai sensi dell’art. 1669 c.c., non può ritenersi esclusa per il solo fatto che detti difetti siano derivati da cause sopravvenute al completamento dei lavori, là dove le anzidette cause sopravvenute non fossero del tutto imprevedibili al momento dell’esecuzione dei lavori (applicando tale principio, la S.C. ha cassato per difetto di motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito aveva escluso la responsabilità dell’appaltatore per infiltrazioni d’acqua, dovute all’innalzamento di una falda acquifera sottostante l’edificio da lui realizzato, senza darsi carico di verificare se esse si sarebbero potute prevedere e, quindi, prevenire con adeguate opere di impermeabilizzazione)” (Cass. Civ. 19868/2009).
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